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Insistiamo ancora ulla peculiarità di taluni colori il cui significato è intrinseco, a priscindere dall'uso che se ne facciae da chi lo porti, specie nelle presentazioni ufficiali: i cavalieri vestono di scarlatto, gli uomini di legge, i professori, i giudici, i notai vestono di nero; i medici scelgono il viola, le spose il bianco, l'abito di lutto è nero. La gente umile invece resta discreta anche nella opzione delle colorazioni: rifiuta i toni sgargianti che non si addicono alla loro condizione sociale, sceglie lana grezza tinte fatte in casa con colori poco costosi. Le vittime di un fallimento portano per segno di riconoscimento un cappello verde, gli ebrei ne portano uno giallo, a volte sostituito da una coccarda.


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Ma stai attento che il lavoro è una brutta cosa mi disse. Ti devi svegliare presto al mattino devi stare sempre a sentire il capo cantiere. Se non c'è lavoro non mangi se c'è lavoro devi faticare. Il lavoro non è mai una bella cosa. ...Io non ti dico vai a scuola o vai a lavorare. Ti dico solo una cosa. Il lavoro è brutto cerca di evitarlo. Io ti mando a scuola perché credo che è un modo per evitarti il lavoro.


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E allora i signori padroni così educati si sono lasciati scappare le ingiurie più volgari nei confronti degli operai. Voi terroni meridionali sporchi fino a ieri eravate a zappare e oggi vi permettete di alzare la testa.


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Mezza età: è quello stadio della vita in cui hai raggiunto la cima della scala, e ti accorgi che era appoggiata sul muro sbagliato. (Joseph Campbell, The Hero,s journey


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… l'immaginario Manifesto dei Privilegiati, così illustrato sul «Washington Post» dal premio Pulitzer Steven Pearlstein: «To sono un chief executive, sono l’eroe del capitalismo, colui che genera ricchezza e occupazione nonostante tutti gli ostacoli frapposti dallo Stato, dai sindacati, dai media. Io ho il diritto di lamentarmi per la crisi anche quando i miei profitti sono alti. Ho il diritto di reclutare solo una manodopera istruita, di avere trasporti efficienti per portarla al lavoro, mentre demonizzo lo Stato che fornisce questi servizi. Io ho il diritto di lamentarmi della pressione fiscale, di criticare la qualità scadente del servizio pubblico anche quando il servizio privato che fornisce la mia azienda è altrettanto scadente. Io ho il diritto di lasciare in eredità tutta la mia ricchezza ai miei figli, che si comporteranno come se l'avessero creata loro. Io ho il diritto di pretendere fedeltà e obbedienza dai miei dipendenti, anche se non sento nessun dovere di reciproca fedeltà nei loro confronti».


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Ci sono tre tipi di bugie, diceva Mark Twain: le bugie, le brutte bugie e le statistiche.


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Hitler ripeteva che la gente beve facilmente una bugia quando è abbastanza grande. Episodio XI°


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Una volta ho sentito una barzelletta: un tale va dal dottore. Dice di essere depresso la vita gli sembra dura e crudele. Si sente solo in un mondo minaccioso, dove il futuro è vago e incerto. Il dottore risponde: "la cura è semplice. In città c'è il grande clown Pagliacci. Vada a vederlo la tirerà su". L'uomo scoppia a piangere e gli dice: "Ma dottore... Pagliacci sono io". Episodio II°


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Una guerra che ha reso Ciudad Juarez la città più pericolosa e violenta al mondo, con quasi duemila omicidi l'anno.


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1 luglio 201. Il Messico ha appena eletto un nuovo presidente, Enrique Pena Nieyo. Tra le sue priorità ha ribadito la lotta al narcotraffico che negli ultimi cinque anni ha prodotto più di cinquantamila morti.


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In otto settimane puoi prendere san Francesco e renderlo un killer capace di uccidere gli animali a morsi.


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Il cartello di Medellìn spende duemilacinquecento dollari al mese in elastici per avvolgere le pile di soldi.


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Fare ricorso all'esperienza talvolta può giocare brutti scherzi. Ci si affida troppo alla percezione di quanto è già stato sperimentato con successo, si pecca di miopia nel soppesare gli elementi non assimilabili.


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Essere cronisti non dei fatti ma della propria anima. E sull'anima, come sul pongo, come sulla plastilina, imprimere gli oggetti e le cose che si vedono, così che resti un calco profondo. Ma un calco che può essere eliminato riassemblando quella pasta. Ricompattandola. Alla fine della propria anima rimane una struttura che poteva assumere mille forme ma non ne ha presa nessuna.