Una guerra che ha reso Ciudad Juarez la città più pericolosa e violenta al mondo, con quasi duemila omicidi l'anno.
1 luglio 201. Il Messico ha appena eletto un nuovo presidente, Enrique Pena Nieyo. Tra le sue priorità ha ribadito la lotta al narcotraffico che negli ultimi cinque anni ha prodotto più di cinquantamila morti.
In otto settimane puoi prendere san Francesco e renderlo un killer capace di uccidere gli animali a morsi.
Il cartello di Medellìn spende duemilacinquecento dollari al mese in elastici per avvolgere le pile di soldi.
Fare ricorso all'esperienza talvolta può giocare brutti scherzi. Ci si affida troppo alla percezione di quanto è già stato sperimentato con successo, si pecca di miopia nel soppesare gli elementi non assimilabili.
Essere cronisti non dei fatti ma della propria anima. E sull'anima, come sul pongo, come sulla plastilina, imprimere gli oggetti e le cose che si vedono, così che resti un calco profondo. Ma un calco che può essere eliminato riassemblando quella pasta. Ricompattandola. Alla fine della propria anima rimane una struttura che poteva assumere mille forme ma non ne ha presa nessuna.